Bevande nel medioevo

Bevande nel medioevo

Quando si parla di bevande in epoca medievale si deve pensare che l'acqua (per noi così ovvia) non era affatto la prima scelta, che ricadeva invece sulle bevande alcoliche. Le motivazioni principali sono da ricercare nel fatto che l'acqua fosse spesso contaminata e di conseguenza considerata rischiosa, mentre gli alcolici erano ritenuti nutrienti e più adatti a favorire la digestione, a cui si aggiungeva il non trascurabile pregio di conservarsi più a lungo, senza andare a male. Inoltre, come già nell'antichità, non erano sconosciuti i succhi, alcuni alcolici altri no, a base di frutti come le more, le pere, il melograno, le mele e altro ancora. L'idromele anche era piuttosto diffuso, ma consumato più raramente a causa del costo elevato; si beveva più che altro in occasioni di ricorrenze e occasioni importanti. Il latte invece non veniva consumato dagli adulti, ma era lasciato a bambini e anziani. 

Nei paesi del nord, era la birra ad essere la bevanda più consumata dalla gente, anche se con il passare del tempo i nobili iniziarono a preferirgli il vino importato e di conseguenza più costoso e pregiato. Prodotta in particolare nei monasteri, durante l'Alto Medioevo, in seguito si videro sorgere anche birrerie cittadine. Già dall'epoca carolingia il luppolo era conosciuto come ingrediente in grado di insaporire la birra, ma se ne faceva scarso utilizzo a causa della difficoltà nello stabilire le giuste proporzioni. Si usava invece una mistura di varie erbe, chiamata gruit, che però non aiutava a conservare la birra come il luppolo. La conseguenza era che la birra andava consumata in breve tempo, anche solo per evitare che la bevanda andasse a male. Si iniziò poi a ritenere la birra una bevanda "minore", destinata al volgo, in grado di rovinare i denti, rendere l'alito puzzolente e nuocere alla testa e allo stomaco, colmandolo di "cattivi umori", arrivando anche a credere che un'ubriacatura da birra durasse di più di quella dovuta al vino.

Il vino era invece la bevanda più comune in gran parte d'Europa, e veniva in genere considerato migliore di acqua e birra e perfino più salutare. Oltre a conservarsi più a lungo, tra le varie proprietà che gli venivano attribuite c'era quella di aiutare la digestione, produrre buon sangue e migliorare l'umore, se consumato in quantità moderate. Anche in questo caso il problema della conservazione era ben diffuso, in particolare per il vino rosso di buona qualità, tanto da essere trattato in vari manoscritti dell'epoca. Tra i consigli più particolari troviamo l'aggiunta di cenere di fondi di vino essiccati e bruciati o di una mistura di semi d'uva bianca essiccati e bolliti, per salvare il vino che stava andando a male. 

Inutile dire che il pregio e la qualità erano dati da vari fattori, dalla tipologia di uva al numero di pigiature a cui veniva sottoposta, e che le classi più povere spesso si ritrovavano a bere i vini peggiori, frutti di un maggior numero di pigiature se non proprio aceto annacquato. Tra i più ricchi, veniva consumato vino speziato o vin brulé, entrambi ritenuti dagli stessi medici molto salutari. Le spezie (in particolare quelle esotiche) si diceva potenziassero le qualità benefiche del vino, per questo (oltre che per il sapore particolare) i vini venivano speziati con cardamomo, chiodi di garofano, grani del paradiso, noce moscata, pepe, zenzero e zucchero. I mercanti del 14° secolo offrivano ai loro clienti dei sacchetti misti di spezie, proprio per essere utilizzati a tale scopo. 

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